Ho ritrovato questo antico documento, uno stralcio di difesa dettato dall’ avv. Nicola Amore davanti la Gran Corte Criminale di Napoli nel 1858 per un delitto avvenuto a Positano. L’italiano è arcaico e il linguaggio “ avvocatese”, portate pazienza. Chi l’ha scritto non ha certo amato Positano, ma è sempre una interessante testimonianza.
"Arrogi a questa impossibilità di conghietturare alcun miglioramento nello stato atmosferico
de' giorni successivi, che la stesa situazione tipografica di Positano minacciava, in caso di differimento, di far restare a bada colà quei due magistrati della Gran Corte, senza nè potere eseguire esattamente le operazioni ad essi affidate, nè ricondursi alla capitale.
E per fermo chi non ha avuto mai la sventura di recarsi d' inverno a Positano, a questo paese incastonato entro un seno di mare ed a ridosso di una montagna, cha tutto induce a pensare di essere stata una furtiva costruzione di qualche orda di corsari, non può comprendere i disagi del nostro viaggio e ciò che sarebbe stato di noi se si fosse ulteriormente indugiato l'esperimento di fatto. Basti dire che all'uscire dalla città di Vietri per la volta di Positano è un ardito viaggiatore chi può reggere a cavallo, e che i più accorti non possono a meno di farsi trasportare in una bussola. Basti il dire che dopo aver percorso a questo modo un lungo tratto di cammino ora per traghetti, ora per affannose salite, ora rasente un precipizio dove ad ogni passo ti si stringe il cuore dallo spavento, si arriva ad un punto oltre il quale non giova più neppure il trasporto sulle braccia dei facchini: ed è, quando superato il giogo della montagna s'incomincia a discendere giù per la china. Perocchè da quel punto ti si mostra al di sotto la interminata superficie del mare, e con questa spaventevole veduta innanzi agli occhi è forza camminare ancora lungo tempo per trabalzi e per sentieri scoscesi e curveilinei, che farebbero aggirare il cervello anche all'uomo più aitante e balioso, se a quando non ghermisse una pietra per suo sostegno spingendosi innanzi quasi carpone sul suolo. Aggiungasi il vento che spira costantemente a qull’altezza , e nel dì del nostro viaggio forse più impetuoso che mai, il vento che ad ogni rincalzo dal suo soffio ti fa restare allibito per tema di non essere isbonzolato per quei dirupi , e potrà il lettore formarsi una idea comunque inadeguata del modo come noi dovemmo giungere trafelati al luogo dell’ esperimento. E fosse almeno quì finito lo strapazzo, e si fosse almeno trovato al termine di sì faticoso viaggio tale un paese da rassettarci lo spirito, da sbizzarrirci l’inquieta fantasia. Noi trovammo invece un paese composto non di case, ma di stamberghe tutte affumicate e rovinanti: non di strade su cui fosse stato possibile di muover ritti nella persona,ma di una ordinanza di scaglioni pei quali è d’uopo scendere e risalire a gran fatica: non abitato infine che da marinai e da navarchi; ed in conseguenza non parrà più strano se ridotti in quel luogo, alla minaccia di quel tempo più fiero e burrascoso che avrebbe per più giorni reso impossibile ogni nostro ritorno, si fosse anelato da tutti di spacciarsi il più presto possibile delle operazioni ordinate dalla Gran Corte. E quanto fosse stata in tutti L’ansietà di obiettare il più presto da quel luogo, lo rivela ciò che accadde dopo l’esperimento, al primo schiarirsi dell’ indomani; perrocchè allora, messa da banda ogni convenienza, chi per primo potè fuggire fuggì, senza nemmeno un’addio a coloro che restavano. Noi, che per l’addietro non avevamo giammai viaggiato per mare, fummo non pertanto i primi ad afidarci su una barca per non ricalcare più quella strada così affannosamente percorsa nekl giorno innanzi. Appresso a noi fece il somigliante il difensore degli imputati. Il giudice delegato tentennò un momento per timore del vento, il quale incalzava di nuovo non senza minaccia di pioggia; ma bentosto all’ide i poter essere obbligato a rimanersi colà per lungo tempo, rompendo ogni indugio, spiccassi anch’egli su di una barca, e via per Napoli.
L’unico sentimento insomma che tutti c’invase fu di abbandonare senza perdita di tempo quella caverna di paese, che porta scritto nelle sue mura il miserando destino che l’aspetta, di essere un giorno o stritolata da qualche franam, o sommersa dal mare. "
(Nicola Amore 1858 ---- foto e copyrait di Giulio Rispoli)
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