Paolo di Tarso e il
Mediterraneo, il segreto di un viaggio che è racconto di lotta e di fede. La
Parola e l'agorà, fede e cultura che danzano nel nuovo libro di Pierfranco Bruni,
L'altare della speranza. Paolo di Tarso.
I linguaggi e la parola nella fede del viaggio (Edizioni Prospettive
meridionali, prefazione di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di
Catanzaro-Squillace e postfazione di Gerardo Picardo, copertina di Valentina
Marelli). Pagine che hanno al centro della riflessione il tema della ricerca. Un
viaggio per mare e tra porti, scrive Bruni, geografia dei luoghi e dell'anima,
perché "proponendo i viaggi di Paolo si ha la possibilità di 'vivere' le
vie del Mediterraneo non solo come luoghi depositati nella storia o come
significativi pellegrinaggi dello spirito ma come vere testimonianze di una
civiltà che non ha mai perso il suo fascino tra i luoghi del sentire, del
sapere e dell'essere". Vangelo di strada e occhi che si alzano verso il
mistero. Paolo è per Bruni "L'Apostolo del Mediterraneo, o meglio dei
Mediterranei. Ha viaggiato i luoghi tra Oriente e Occidente nel nome della
fede. E' sulle rotte del Mediterraneo che le civiltà possono ancora parlarsi.
Parlandosi ci si incontra. L'incontro è sempre un ritrovarsi tra le ore del
tempo. L'antropologia del sempre è nello scavo delle esistenze".
La parola di Paolo è
sempre annuncio di salvezza ma sa raccogliere anche le voci della strada oltre le frontiere, per accogliere il Kerigma
che si fa salvezza per le genti. C on il 'tredicesimo apostolo', la metafisica
del tempo diventa la metafisica del viaggio, obbligo di accorciare le
distanze e allungare il campo della
speranza, per tutti. Il relazionarsi ha un misterioso cammino, quello dell'uomo
che abita la 'cerca'. L'inquietudine e la fede abitano lo stesso petto,
"teologia della parola dell'esistere non solo dentro il tempo ma accanto
al tempo e i suoi viaggi, tra le storie del Mediterraneo". Superano la
profezia dell'attesa e si fanno capacità della provvidenza a raccontare il mistero, "consapevole
che l'amore non è solo destino dentro di noi ma grazia". Paolo, il
viandante di senso, resta il tempo e la memoria: "Tra le genti che hanno
abitato e abitano il labirinto, Paolo ci conduce oltre. Ascoltare è già porsi
in discussione nel dubbio. Avvertire questi segni è parlare con le lingue del
mondo in una lingua universale. Qui si vive la metafisica delle Parole che
vivono di contaminazioni". Damasco e Malta restano nel cuore di Paolo e
della cristianità. Damasco è la chiamata, Malta il segno di un cammino che deve
proseguire oltre il mare.
La profezia di Paolo indica
koinonia e agorà. Sull’Areopago Paolo parlava greco, cita le parole dei poeti
greci (At 17,28). Le parole dell’Alètheia,
il linguaggio storia che indica Cristo come soglia,
anche per l’uomo pagano che ha come unica speranza la memoria della terra e della hora
che tutto consuma. Cristo è subentrato alla Legge. La Gloria all’incapacità
di comunicare la Vita. E ogni uomo, giudeo o pagano, può cogliere questa
rivoluzione. "Paolo è shomèr,
sentinella, che esorta a “essere unanimi nel parlare” (1 Cor 10) -
scrive
Picardo - ma è anche un invito a restare nell’ascolto del grido insondabile
dell’ora nona. Stare nella traccia della Verità e avere nostalgia di essa. La
teologia paolina non è soltanto un’interpretazione - vincente – del
cristianesimo: è possibilità di dialogo tra mondi, terreno di un confronto che
non conosce le mere tou chronou, le
parti del tempo e si fonda su una certezza: “Se Cristo non è stato resuscitato,
è vuoto il nostro annuncio, vuota la nostra fede” (1 Cor 15.14). Ecco perché il
Cristo di Paolo non è una morale ma un Incontro".
Vivere da Hyioi emeras, figli del giorno,
significa avere speranza, e credere alla possibilità di cambiare. Annota anora
Picardo: "Nello spazio dell’ascolto della Parola-Storia transita l’ultimo
Dio, sottratto alle nostre catture e sempre con il volto di un uomo che cerca
oltre le pietre e le bende l’alterità radicale dell’Uno che si è dato ai molti,
e insieme la prossimità di un Dio che sceglie di salire una Croce".
In molte sue lettere
troviamo un verbo, epimelestai,
prendersi cura, come in Tit 3,8. Perché l’esortazione all’amore vicendevole è
la concretizzazione del Vangelo. Su
tutto, resta la forza di una fede che è tale solo quando è pensante.
Le ultime immagini del
saggio sono Damasco e Malta, emblemi di conversione e naufragio. Un viaggio spirituale, perché -
scrive mons. Bertolone - "si tratta di vivere Paolo non al di fuori di noi
ma dentro le nostre incertezze, che cercano di diventare o magari trasformarsi
in verità. Ritrovando, chissà, il senso genuino della fede che tra l'altro è un
pellegrinare dentro di noi e nelle attese che ci navigano nel mistero,
scommettendo sul tempo come vettore di noi, l'altro e l'Altro".
Salvatore
Balasco
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