l'opera sarà accompagnata dal pianoforte suonato da Marco Sgamato.
Racconta l' autore In un piccolo hotel chiamato Chalet Bourgeat, in Francia, Oscar Fingal Flaherty Wills Wilde scrive La ballata del carcere di Reading, celebre componimento poetico concepito dopo la sua scarcerazione il 19 maggio 1897 dalla prigione di Reading. Wilde fu accusato di omosessualità nel 1895 e, nel novembre dello stesso, condannato a due anni di lavori forzati.
E dalla fine di quel famoso Processo, che da anni mi fregio di portare sulle scene italiane e non solo, che io riparto, da quelle parole disperate del suo De Profundis, col quale immagino urli il suo scioccante ingresso nelle mura della infame prigione, per poi ritrovarsi fra le pareti di una angusta cella. Un grido di dolore, un testo sincero che ci restituisce un Wilde più umano, ma non per questo meno lucido. Lucido nel denunciare la terribile esperienza vissuta in prigione e nel raccontare la convivenza con un condannato a morte, evocandone il rituale assurdo e feroce dell'esecuzione capitale. E qui Wilde maturò la sua riflessione sulla maniera in cui tutti possiamo considerarci malfattori, in cui tutti abbiamo bisogno di essere perdonati, e qui maturò anche la sua conversione religiosa. L’ironia e il riso che hanno sempre accompagnato la sua opera lasciano il posto alla sofferenza, che non è mai grido sguaiato, ma solo lamento. Un dolore ancora più tangibile in un uomo come lui, abituato ai salotti favolosi dell’Inghilterra vittoriana e piombato all’improvviso nel buio di una cella. Distrutto dalla fatica e dalla umiliazione, provato nello spirito e nel fisico, invecchiato e disperato – lui concepirà appunto i versi della sua Ballata dove sembra non voler accettare definitivamente non tanto che il carcere possa spezzare i cuori, quanto che possa ridurli in pietra.
Il pianoforte di Marco Sgamato sarà il contrappunto emotivo e dolente di un uomo favoloso, imprigionato e salvato dai suoi versi magnifici e dolorosi e splendenti.
Roberto Azzurro
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