Fotogiornalismo: una professione in via d'estinzione
In attesa che escano gli atti ufficiali del convegno A.I.R.F. Associazione Italiana Reporter Fotografi che si è tenuto a Roma lo scorso 23 Ottobre 2012, dal titolo “Fotoreporter: una professione in via d'estinzione”, ecco per voi un piccolo report dell'incontro.
Hanno partecipato Enzo Iacopino, presidente dell'Ordine dei Giornalisti Nazionale, il presidente e i consiglieri A.I.R.F. Mario Rebeschini, Pasquale Spinelli e Alessandro Ruggeri, il consigliere nazionale dell'ODG e fotoreporter Mario De Renzis, il presidente di Fotografia & Informazione Marco Capovilla e la nostra Presidente della FPA Fotoreporter Professionisti Associati Elisabetta Villa.
Dopo l'apertura affidata ad Alessandro Ruggeri, che ha fatto il “riassunto delle puntate precedenti”, cioè ha raccontato cosa era uscito dal precedente convegno A.I.R.F., Marco Capovilla di Fotografia & Informazione ha elencato una serie di domande rivolte all'Ordine, sincerandosi se l'OdG avesse capito l'urgenza e la gravità della situazione. Se infatti nei dizionari italiani la parola “Fotogiornalismo” è apparsa solo nel 1983, quarant'anni dopo la nascita della professione (anche il programma di scrittura mi segnala errata la parola, n.d.r.), siamo fermi comunque a quegli anni come “importanza data alle fotografie” di news. Dal convegno del 1981 “L'informazione negata” sono passati 31 anni eppure nulla sembra essere cambiato, ci racconta, mentre negli altri paesi le cose si sono risolte una volta proposti problema e soluzione. Le associazioni di fotografia, poi, come A.I.R.F., Fotografia & Informazione e FPA non hanno mai comunicato molto, e bisognerebbe iniziare a fare rete, come tutti noi speriamo. Se la fotografia in Italia è così poco considerata, soprattutto dagli editori, in fondo è dovuto al fatto che la cultura fotografica non ha mai fatto parte della cultura italiana, e non bisogna allora meravigliarsi che i fotogiornalisti rimasti nel paese siano pochi. Prendendo Libération come esempio, possiamo vedere che più che verso l'immagine singola (come nella realtà editoriale italiana) è verso il racconto fotografico (il reportage) che si concentrano gli sforzi della testata, perché il lettore deve essere informato dalle immagini.
Elisabetta Villa, presidente della FPA, ha iniziato il suo intervento affermando invece che il fotogiornalismo non è morto, ma malato. L'importante è unirci, creare una rete a livello nazionale tra le associazioni che coinvolgano anche i colleghi non iscritti, perché un disegno di legge valido c'è, ma bisogna portarlo alla ribalta. Una maggiore coesione aiuta a lavorare meglio negli eventi, come la FPA è riuscita a realizzare stabilendo ottimi rapporti con gli uffici stampa di Roma, che prima di un evento importante si consultano con i colleghi interessati per stabilire l’organizzazione dei photocall e le luci adatte. Una tessera riconosciuta che valga anche all'estero sarebbe poi un modo per lavorare meglio, senza contare i problemi legati ai pagamenti ed ai rendiconti delle agenzie che non sono controllati da nessun organo e che non vengono presi in considerazione per l’iscrizione all’OdG.. Molto spesso sono proprio i colleghi che collaborano con le agenzie italiane (tranne qualche raro caso) a dover subire più di tutti la mancanza di tutele adeguate. E' quindi importante capire l'opinione che l'OdG ha sul fotogiornalismo.
Se per Mario De Renzis le fotografie, sui giornali, sembrano un semplice rumore di fondo, ed è di vitale importanza, oggi, fare i conti con l'informazione digitale, per Marco Capovilla i fotoreporter italiani hanno mancato l'appuntamento con la multimedialità. Ci sono dei vuoti culturali da colmare, come per esempio tutto il discorso legato ai tablet ed alla fruizione di una fotografia retroilluminata e alle differenze intrinseche rispetto a quella stampata.
Altra grande questione è stata quella legata alla professione del photoeditor ed al fatto appurato che troppo spesso i giornalisti non sanno scegliere le immagini. Servirebbero dei corsi d'aggiornamento continui, inserendo ore di ‘educazione all’immagine’ nelle accademie che formano i futuri redattori e direttori delle testate. E magari, continua Capovilla, una scuola d'eccellenza che insegni il giornalismo visivo: l'Italia è un paese di “fotoanalfabeti”.
Enzo Iacopino dunque si è trovato sul tavolo non solo proposte, ma anche giuste obiezioni da parte dei colleghi presidenti di associazioni. Su una questione è stato molto chiaro: non ci sono differenze tra i giornalisti e i fotogiornalisti. La creazione di un albo speciale farebbe decadere i diritti che hanno gli altri giornalisti, quindi non si dovrebbe richiedere un ulteriore elenco oltre ai già esistenti pubblicisti e professionisti. Tutto ciò che l'OdG potrà fare, nel rispetto delle leggi, cercherà di farlo. Tra i colleghi che hanno partecipato alla discussione, da segnalare l'intervento di Vincenzo Pinto. Senza peli sulla lingua il fotoreporter ha infatti aggiunto al dibattito i problemi legati al digitale (non ha rovinato la vita ai fotografi, ma agli editori: è un problema economico), alla firma sulle foto (magari istituendo un elenco professionale di fotografi: c'è bisogno di visibilità) e al rapporto tra giornali ed editori (alcune fotografie non vengono pubblicate per asservimento all'editore). Come lui, anche noi tutti ci chiediamo dove siano finiti i servizi fotografici che nel passato hanno fatto l'orgoglio della professione, come quelli pubblicati da Epoca.
Un incontro difficile, che già dal titolo non lascia speranza: se infatti fino a poco tempo fa si poteva sperare in un punto interrogativo alla fine della frase “Fotoreporter: una professione in via d'estinzione, oggi quel punto interrogativo è decaduto laconicamente. Ma siamo certi che incontri simili stiano contribuendo a far nascere una nuova e rinata sensibilità, dall'unione tra le varie associazioni di settore (la FPA in primis) all'impegno che Iacopino e l'Ordine dei Giornalisti ha promesso di riservarci.
Valeria Jannetti
venerdì 23 novembre 2012
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