ANNA
CAPPELLI
di Annibale Ruccello
con Antonella Morea Regia Fortunato Calvino
Scene Clelio Alfinito
Costumi Vicky
Musiche a cura di Alberto Spisso
Antonella Morea (archivio) in una performace alla Chiesa Nuova a Positano del 2013 |
Avvicinarsi con Anna Cappelli
ad un autore come Annibale Ruccello, troppo presto scomparso, è stata
un’avventura affascinante; scoprire come regista i mille significati e la
profonda densità emotiva che si celano dietro le sue parole. È un dovuto
omaggio ad uno scrittore che molto ha lasciato al teatro. Io credo che sia
essenziale riproporlo poiché lo spazio teatrale è il giusto riconoscimento alla
sua grandissima capacità di rappresentare con ironia e intelligenza gli aspetti
drammatici di una società come l’attuale, troppo spesso violenta e priva di
ideali.
Anna cappelli, il suo ultimo
testo, è un’opera inquietante; all’origine vi è un fatto di cronaca: un
giapponese uccide una giovane olandese e “ne mangia la sua carne”, ed inoltre
un riferimento più preciso lo troviamo ne L’adorazione, libro di Jora
Kara uscito un Italia nel 1985, in cui l’autore tenta, attraverso un carteggio
con l’assassino, di ricostruire le situazioni che hanno determinato un così
tragico epilogo. Tale antefatto è però in Anna Cappelli solo uno spunto;
infatti Ruccello narra una sua storia di sentimenti, anzi di sensi, che giunge
al parossismo: l’amore di chi divora il proprio amato assaporando il gusto
dolciastro del più totale e completo possesso. Ciò che va sottolineato è il
rito, un gesto che ha un sapore antico, “primitivo”, ma che scardina le
convenzioni di un’epoca moderna per definizione nel momento in cui riemerge
potente nel nostro subconscio. E’ un monologo, ma palpabili si alterano sul palco gli “altri”, presenze assenti di una storia in cui Anna Cappelli vive con lucida follia ciò che il suo animo insaziabile sta meditando. Rispetto alla stesura originale ho preferito posporre i fatti, la protagonista ripercorre in flash-back i momenti di una così inquietante iniziazione e le sue parole fluiscono dense di significato, come un fiume in piena, e travolgono ogni senso comune per giungere infine alla purificazione.
Ciò che ho voluto evidenziare è soprattutto l’evoluzione psicologica del personaggio., la solitudine di una vita tenacemente attaccata al possesso delle cose come unico mezzo di auto affermazione.
FORTUNATO CALVINO
Antonella Morea (archivio) nell' InCanto di Partenope. - Positano Teatro Festival 2012 - |
Trama La storia vede protagonista una donna, Anna Cappelli,
per l’appunto, un’impiegata costretta dalla sede di lavoro (era impiegata al
municipio di Latina) a vivere lontano dalla sua città natale, Orvieto, e ad
adattarsi a convivere in una piatta condizione di affittuaria con una signora
Tavernini, a detta sua, maligna e pettegola. Un bel giorno Anna conosce un
collega di lavoro, un ricco ragioniere, che vive da solo in una casa con dodici
stanze con una vecchia governante: se ne innamora e, sfidando in anni ancora
non permissivi come gli attuali, i pregiudizi e le ipocrisie della gente, va a
convivere con lui. Due anni d’amore poi, improvvisamente, la situazione
precipita, quando il convivente le fa sapere che non ha più intenzione di
vivere con lei, scatenando nella donna il senso di un tradimento inatteso o
forse un distacco che non sa sopportare. Così Anna in preda alla sua lucida
follia d’amore, deciderà di uccidere il suo amante per custodirne dentro di sé
il corpo, mangiandolo, e di distruggere successivamente la casa stessa che l’ha
vista felice con lui, con la fiamma delle candele, fatte con le ossa del suo
amato.
“Anna Cappelli travolge ogni
senso comune per giungere infine, alla purificazione”
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