Positano – Sono quasi cento anni che la Buca di Bacco apre i battenti con l’arrivo della primavera. Stavolta, però, nell’antica Taverna della divinità greco qualcosa è cambiato: non ci sarà più la storica finestra della pasticceria che è stata chiusa a causa di quei motivi di cui si è soliti discutere innanzi alle toghe del foro. Tuttavia, questa finestra resterà ancora aperta nei ricordi di molti.
Passaggio di sguardi complici e indiscreti, crocevia di voci sconosciute e amiche di passanti domenicali o habitué, condensa di profumi della Costiera e di prelibatezze importate da Oltreoceano dalla signora Anna. Come con un colpo di tramontana, “la finestra” della Buca di Bacco si è chiusa. Una finestra che appartiene a coloro che hanno trascorso giornate agostane e pasquali. Fucina di sapori e bottega di delizie che ha inviato messaggi di benvenuto a Posa Posa e di “arrivederci all’estate prossima”.
Quella di Via Rampa Teglia, per capirci meglio, quella prima del muretto e subito dopo i costumi della Tartana, quella dei Leoni al Sole che passando salutavano le sorelle Rispoli. Quella che andando intravedevi nelle retrovie i cuochi all’opera, mentre saltavano due vongole o impiattavano paccheri con una mano e, con l’altra, chiamavano il cameriere che era lì sull’uscio a fumare una sigaretta. Una finestra che era un piacere fermarsi. Magari per due chiacchiere con la signora Carla. Oppure per ordinare un panino da portare in barca. “Buongiorno signora, un caprese e un altro roast beef e salsa rosa, ma grande… la prego”.
Un panorama di dolci e gastronomie che per i bambini era un sogno. Diversi ci provavano, allungavano il braccio attraverso la grata verde fino a che la testa lo permetteva e la mano, che rimaneva sospesa, qualche volta non tornava in tasca vuota. Vassoi di gocce al cioccolato e di brownies, d’occhi di bue e di delizie al limone. Un orizzonte che cambiava a scadenze metodiche. La mattina era per il lavoro certosino: quello dagli impasti più laboriosi ma che di sera ricevevano il consenso dei clienti più divini. Da lì vedevi palmi artigiani e mansueti preparare capresi e pastiere, torte al cioccolato e crostate di tutti i tipi. Dopo mezzodì era l’ora dei plum-cake e non appena erano infornati assaltavano il vicinato con un carosello di fragranze. Alla sera, invece, la finestra diventava silente: il lavoro si concentrava nella cucina di Luca e Michele, per poi risvegliarsi nella notte, quando faceva ingresso o’boss, Giuseppe. Entrava in scena con un filo di luce per infornare i cornetti delle colazioni che poi sarebbero rimasti in bella mostra sul davanzale fino all’alba.
Insomma, era proprio un belvedere. Uno spaccato a cui in tanti si sono affezionati. Anche chi stava dietro quel vetro aveva la sua parte. Alle sue spalle c’era una tribuna curiosa, che rubava attimi di qualcheduno col solo sguardo, fantasticando, vaneggiando, cercando di prendersi la libertà di aggiungere un tassello di fantasia alla vita altrui. “Quello? Quello è un americano, si è preso la casa qua. Fa lo scrittore”. Un varco di mamme coi bambini e di ragazze col pareo in vita e il bermuda che penzola dalla cesta. Di vacanzieri armati di teli da mare e di ombrelloni mai abbastanza saldi per quando si alza il vento. Un vento, questo, che nel silenzio dell’inverno ha deviato il percorso sulla Rampa Teglia non curante di aver fatto sbattere e chiudere per sempre “la nostra finestra”, che nella nostra memoria resterà sempre aperta.
N.C.
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