martedì 13 dicembre 2016

“ La Svolta Celeste” di Stefano Parisio Perrotti

Giovedì 15 dicembre dalle ore 17.00  in poi al Museo Archeologico di Napoli  MANN si apre la

 mostra  personale di scultura “ La Svolta Celeste”  di Stefano Parisio Perrotti

Stefano  è nato a Napoli nel 1960, dove vive e lavora.
È un grafico pubblicitario “per nascita”.
Comincia a lavorare già nel 1975 “a bottega” nell’azienda fondata dal padre: uno dei primi studi napoletani di grafica.
Esperto in comunicazione visiva e corporate image, è oggi responsabile della corporate identity di un importante gruppo aziendale con sedi nelle maggiori città italiane e all’estero.
Parallelamente al lavoro ha da sempre alimentato e coltivato una ricerca creativa e artistica che da tempo è maturata in una direzione “espositiva”.
Nei suoi lavori coesistono diversi livelli di lettura. Le componenti del gioco e dell’ironia fanno parte della sua poetica; con essi esplora ed evidenzia i paradossi, le contraddizioni, le fobie, i vizi e le virtù della natura umana.
 
 
 
Mi dice Stefano: " Le opere esposte sono 14. Il materiale usato sono pietra levigata dal mare scelte e prese dal mare antistante la spiaggia di Laurito a Positano. I personaggi sono in  cartapesta dipinti con foglie d'oro o con colori acrilici."
 
" Ciel long"
 
 
" escapottage"
 
"Il Cielo in una danza"
 
Mille e mille auguri Stefano ....  a presto nella nostra POSITANO
 
come dicono i mie amici Murattori  prima di una performance teatrale :
" P'è Pasetan' pè Pasetan'
 
PS Scrivi su di Lui Marco De Gemmis
 

DALLE STALLE ALLE STELLE

Marco De Gemmis

Già nei primi lavori esposti e pubblicati, risalenti al 2008, compare il materiale che più d’ogni altro caratterizza la produzione di Stefano Parisio Perrotti: la pietra: raramente lavorata da lui, molto più spesso dall’uomo per farne sampietrini, per lui inesauribile fonte di ispirazione o dal lunghissimo tempo trascorso nell’acqua a farsi levigare. Quindi, se si escludono le rare creazioni in morbida pietra leccese, l’artista non affronta da scultore la sua materia prediletta, objet trouvé portato in studio perché si trasformi nel luogo o nel paesaggio uno scoglio su un mare da immaginare, una roccia, una strada semmai con le strisce pedonali in cui mettere ad agire piccoli personaggi, della cui presenza le opere non fanno quasi mai a meno: “quasi” perché proprio qui al Museo troviamo Non torno più, dove il protagonista c’è come assente. E poi, in omaggio all’Archeologico, rimpiazza i diversi materiali lapidei prediletti il capitello in ghisa di Oggi a me e domani a me,

Per realizzarli, quei personaggi, interviene il Parisio Perrotti modellatore, che alla durezza e al peso della pietra associa e oppone per lo più la duttile, leggerissima sostanza della cartapesta, formata intorno a un’anima metallica e spesso coperta da un unico colore acrilico o da una smagliante foglia d’oro o d’argento. Dunque pietre ed esseri umani, e poi i pochissimi oggetti necessari per mettere in scena un’azione: una canna da pesca, per esempio, oppure una bandiera, o una macchina fotografica.

Ma c’è un altro materiale, invisibile e privo di peso ma senz’altro di decisiva pregnanza, che partecipa immancabilmente alla costruzione dell’opera del nostro artista e anzi ne diviene componente imprescindibile del significato, e questo è la parola: la parola o le poche parole che ne formano il titolo: che del lavoro può essere stato addirittura l’ispiratore; che contribuisce finanche alle sue caratteristiche estetiche; che non descrive asetticamente cosa sta accadendo nella scena; che rivela in modo inequivocabile, sorprendendo l’osservatore e suscitandone il sorriso, la spiritosa intenzione dell’autore. Parisio Perrotti si pone evidentemente nella scia delle avanguardie storiche, che resero la parola, materia del poeta, appannaggio anche dell’artista: il quale può ricorrervi per svelare, orientare o integrare concettualmente i messaggi veicolati dall’oggetto, che in assenza di quel titolo si presenterebbe diverso o incompleto, quando non incomprensibile o del tutto privo di senso. I titoli di Parisio Perrotti, insomma, sono parte integrante delle sue opere.

Naturalmente il valore e l’obiettivo della ricerca del nostro artista non risiedono principalmente nella boutade, ma la componente ludica, esaltata da quelle sintesi verbali, ne fa parte e ne è elemento insostituibile, al pari della suggestiva ed elegante relazione fra le minute figure umane e la gravità delle pietre, e al pari dell’altrettanto raffinata essenzialità dei piccoli apprestamenti scenici creati per ambientarvi gli episodi di un unico mito scanzonatamente stravolto.

Un unico mito: è anzitutto la compattezza, la coerenza tematica che l’installazione del MANN aggiunge alle principali, ricorrenti peculiarità del discorso artistico di Parisio Perrotti: tutta la mostra è un divertito omaggio alla figura di Atlante, e con lui alla fantasia che la sua storia possa riscriversi, la sua vita possa svoltare, e destino e malasorte – del titano, ma forse di chiunque – possano essere come per incanto ribaltati. E l’esito liberatorio riservatogli dall’invenzione artistica non coinvolge soltanto il protagonista: l’identificazione emotiva dello spettatore più o meno consapevolmente desideroso di riscatto o di sfogo è assicurata dall’efficace costruzione, e se proprio non fosse in grado di procurarseli neppure in sogno, il sogno di leggerezza di Atlante è a sua disposizione.

 

 

 

 
 
 
 
 

 

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