venerdì 31 ottobre 2014

BUCA DI BACCO POSITANO: la FESTA di Chiusura fine stagione 2014

Anche alla Buca di Bacco di Positano la stagione 2014 si è conclusa  e lFamiglia Rispoli  ha come di consueto offerto la cena di chiusura ad amici , clienti e collaboratori .
La festa è stata allietata dal gruppo di musica partenopea i "Tamambulanti....." con Beppe Gargiulo, voce e tamburo; Paolo Batà Bianconcini, percussioni, Enzo Mazzarella fisarmonica , Gianfraco Federico Chitarra e la partecipazione di  Gianni Migliaccio chitarra e voce ...:

in cucina ......
Tutti pronti per la serata tra chefs e camerieri
 
La signora Carla controlla i suoi strepitosi dolci prima di essere portati in sala
 
 Andrea dà l'ultimo sguardo
 
 
 
Intanto in sala si  mangia e si   "  Parea "
 
 

 
G & G
 
 
 
 
 
 
 
 
 
G & P si scatenano in un ballo ...
 
arriva il momento magico atteso da tutti ...l dolci della Bucaaa....
e dalla cucina escono come se fossero modelle durante una sfilata d'alta moda 
 
 
 
 
 
 
Jamm' a PARIA'...................................
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Arrivederci al 2015    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

giovedì 30 ottobre 2014

Dalla Luna al vento

Donne nelle fotografie di Luciano Del Castillo

 

Il libro:

C’è qualcosa che mi colpisce sempre nei lavori di Luciano del Castillo: le sue foto parlano. Sì, non sono figure impresse in un pezzo di carta, sono storie che adoperano le immagini al posto delle parole. Questa è la sensazione che mi provoca la sua opera da quando lo conosco […]. Attraverso queste donne ho fatto il giro del mondo, dall’Europa all’Africa, dall’Africa all’America, dall’America all’Asia. Mi rendo conto che ogni volta mi soffermo ad osservarle un po’ di più, come se non volessi abbandonarle. O è al contrario? Come se queste donne non volessero lasciarmi andar via; ammaliano lo spettatore innocente che si avvicina, come succede a me, pensando di vedere delle fotografie per poi scoprire che sono storie di vita. Luciano del Castillo è un bravo reporter, di quelli che con un semplice clic della sua macchina fotografica ti portano così vicino ai loro protagonisti , che sembra di poter ascoltare sussurri e mormorii. Sì, non ho più dubbi, queste donne stanno raccontando la propria storia e dobbiamo ascoltarle. E spero che le loro voci arrivino a molta gente. (dalla prefazione di Karla Suarez)

La scheda del libro:

Autore: Luciano Del Castillo - giornalista fotografo
Prefazione: Karla Suàrez - scrittrice
Introduzione: Ester Stefania Lattanzio - psicologa, art director
Collana: Vita Raccontata
Pagine: 92 - fotografie a colori
Prezzo: Euro 28,00 - per chi acquista dal sito 26,00 euro spese di spedizione comprese
formato: cm 29,7x21
iSBN: 9788897309611
genere: Fotografico
Argomento: Donne nel mondo

L'Autore

 
luciano Del Castillo nato a giugno del 1960 con il sole, in un’isola meravigliosa ma difficile. Dov’era difficile portare i capelli lunghi, suonare la chitarra elettrica e andare in campeggio; sono tutte cose che ha fatto. L’unica cosa che nessuno voleva fare in terra di mafia era il giornalista, così ha trovato lavoro presso il giornale L’Ora di Palermo. Fotografo, giornalista e molte altre cose, ma se deve definirsi in qualche modo è un viaggiatore. Ha viaggiato con tutti i mezzi, per terra, per cielo e per mare. Ha coperto le storie di mafia, il disfacimento della cortina di ferro, guerre e disastri naturali, è andato a lavorare nei posti dai quali la gente fuggiva come Iraq, Iran, Palestina, Israele, Afghanistan, Sri Lanka. Negli ultimi anni si dedico all’America latina. Lavora per l’Agenzia ANSA. A settembre 2012 ha pubblicato il libro Poesia escondida, La Habana, Cuba con Tem pesta Editore.
Dall'introduzione di Ester Stefania Lattanzio
[...] Del Castillo, munito dell’inseparabile macchina fotografica, ama definirsi un camminatore, un girovago dall’anima gitana. Questo spiega la scelta di utilizzare una poesia di Federico García Lorca, poeta della cultura andalusa e gitana, sia per il titolo del libro sia come leitmotiv delle foto al suo interno, dove le immagini sono evocate da alcune parole della poesia stessa. Lo stesso Lorca definiva i gitani “camminatori che contaminano e si lasciano contaminare dai luoghi”.
La poesia Orto di marzo (Poema del Cante Jondo – 1921) che accompagna le fotografie, appartiene al Lorca maturo, il Lorca di versi quasi impossibili, dove le parole sono salti, come “dalla luna al vento”, titolo di questo libro sulle donne. La luna, mutevole, ammaliante, legata alla nascita e alla follia è da sempre un archetipo femminile. Il vento, spirito divino nella creazione del Mondo, insieme al sole influenza la fertilità del terreno e schiarisce il cielo dopo il temporale. [...]


Il libro di Del Castillo sarà presentato alla biblioteca nazionale Rispoli in Piazza Grazioli, Roma alle ore 17.30

 
 

mercoledì 29 ottobre 2014

LETTERA ALLA DANZA di Rudolf Nureyev

 
Questa sera Gian Maria Talamo Leader del Gruppo Teatrale Abusivo  dei Murattori ha letto alle allieve del Centro Studi Danza di Positano diretto da Alessandra Ginevra una toccante lettera del ballerino russo Rudolf Nureyev scritta poco prima della sua scomparsa...La lettera porta la data del  7 aprile 2011 ore 3.10
 
 "Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.
Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consumate ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi.
 Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa.
Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine coso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.
Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza.
Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
 
Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita… "
RUDOLF NUREYEV